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L'ululato della montagna
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La sezione "Racconti" di Crinale's Legends presenta:

L'ULULATO DELLA MONTAGNA

 di Stefano Boni

     L’ululato della montagna. Così lo avevano chiamato, così l’avevano descritto. E proprio ora, in quel momento, mi tornavano alla mente, mi tormentavano la mente, le parole del vecchio… quelle parole che Miki aveva deriso e sottovalutato… ma Miki ora era morto.
     Arrivammo in quel desolato paesino incastrato fra le rocce della montagna pronti per sfidare, per domare la parete nord del Picco, un alpe insolente nelle sue forme, che aveva dimenticato il suo nome geografico per entrare nella mente delle persone solo come «Il Picco». Faceva freddo e si stava alzando il vento… solo ora mi rendo conto… maledizione… Il paese ci accolse cieco e sordo, gli abitanti serrati vicino le loro stufe a legna, curiosi di sapere cosa eravamo venuti a cercare nei loro terreni, fra le loro proprietà, in quell’inverno così bizzarro.
     Il vecchio arrivò dalle nostre spalle mentre scaricavamo il Freelander. Arrivò come un’ombra trasportata dal vento che si stava alzando, come l’allarme che suona lontano nella nebbia. Aveva una fascina di legna con sé, la sua compagna dell’inverno. Me lo ricordo ancora, il vecchio… Era gobbo, basso, gravato dal peso della legna, ancora più rinchiuso nel suo cappotto vecchio, l’andatura claudicante e lo sguardo fisso a terra. Ci arrivò di fianco e si fermò, come a recuperare un po’ di fiato perso nella sua lotta controvento. Miki mi fece cenno con la testa e sorrise. Il vecchio gobbo ruotò il capo e mi guardò. Aveva la pelle scura, dura, segnata dalle intemperie e dal gelo come segnati dalle intemperie e dal gelo erano i burroni e i torrenti del Picco. Era un vecchio, un vecchio di montagna, un uomo dall’animo buono e generoso, ma anche cocciuto e geloso, egoista e maldestro… Lo stesso vecchio che avrebbe pianto di gioia alla nascita del primo nipote ma che ti avrebbe sparato addosso se osavi scavalcare il suo confine… lo stesso vecchio che maledice i turisti, gli stranieri e quelli di città… lo stesso vecchio che non ti parla se non ti conosce, che se non ti conosce porti rogna e se porti rogna non ti parla… lo stesso vecchio che mi sorrise…
     «Alléz-vous sur le monte?» chiese in un francese masticato. I suoi occhi neri, bui, ma brillanti si posarono sulla nostra coppia di sci.
     «Sulla parete nord.» gli risposi in francese. Come in conseguenza diretta delle mie parole il vecchio scaricò a terra la fascina e scosse la testa. Respirò a pieni polmoni l’aria pungente dell’inverno di casa sua e tirò fuori dalle pieghe del suo cappotto consunto un sigaro maltrattato che assaporò biascicandolo prima di riprenderlo in mano.
     «Avete da accendere?» chiese puntandoci contro il tabacco arrotolato.
     Miki mi lanciò il suo zippo sorridendo. Accesi il sigaro all’uomo.
     «In questi giorni é nevicato molto.» disse guardando il cielo «E c’é stato molto vento.»
     «Lo sappiamo.» risposi mentre l’aria mi scompigliava i capelli.
     «Anche il Picco lo sa. E il Picco non vuole che qualcuno salga su di lui dopo che é nevicato e ventato.» lo vedevo tirare affannosamente dal sigaro sgangherato, incavandosi il volto e schiacciandosi sempre più piccolo sotto la gobba degli anni.
     Io guardai Miki. Lui continuò a sorridere. Poi gli chiese: «Perché il Picco non vuole che si salga lassù? È stregato?»
     Gli occhi del vecchio saettarono incattiviti verso il mio amico.
     «No strega. No favole. Solo il rumore della montagna, il grido di dolore che ti ricaccia a valle. Un tempo parlavano di strega e di favole. Adesso no… ma quel rumore c’é ancora e quando lo senti é troppo tardi…»
     Quando lo senti é troppo tardi. Così aveva detto… Miki l’aveva sentito… io ero più a est.
     «Lo chiamano l’ululato della montagna» proseguì il vecchio «e se il vento si placa per un attimo puoi sentirlo… L’ululato della montagna… non risparmia nessuno, piante, animali, uomini…»
     Il vento si portava via le sbuffate del suo sigaro. Guardai Miki. Rideva.
     «Andiamo, vecchio… Di che cosa stai parlando? Maledizioni o valanghe? Vuoi forse dirci che c’é pericolo di valanghe? L’osservatorio di Castellalto ha confermato…»
     «Cosa ne sa l’osservatorio! Loro e i loro strumenti, le loro previsioni, le loro paure… Hai mai visto una valanga seppellire qualunque cosa gli si pari davanti? Hai mai sentito il tuono che scuote la tua casa mentre il Picco si rigetta su se stesso, si rivolta, si uccide, si frantuma su se stesso? All’osservatorio non conoscono il Picco, non lo hanno vissuto, non lo hanno pascolato… Non sanno della sua forma, delle sue grotte, dei suoi imbuti che convogliano la rabbia degli elementi, la furia della natura. Le guide non conoscono tutti i sentieri, tutti gli anfratti, tutte le paure del Picco.» buttò il sigaro nella neve «Voi non siete di qui, non potete sapere certe cose, non potete sapere dell’ululato della montagna. La parete nord guarda in faccia a Dio e Dio guarda in faccia il Picco. Nessuno dei due abbassa lo sguardo. Andate sulla parete est se volete proprio andare. Io torno al mio fuoco.» e così dicendo si issò la fascina sulla groppa e riprese claudicante a camminare. Sparì dietro una stalla i pietra e tornò al suo fuoco.
     «Se voleva farci perdere tempo c’é riuscito.» disse Miki «Partiamo o non arriviamo più.»
     Eravamo partiti all’alba con la voglia di salire e ridiscendere dalla parete nord e quello avremmo fatto; con zaino, piccozza, sci, ramponi, radio e grinta. A piedi raggiungemmo la base della parete, un muro di neve peraltro neanche tanto elevato, segnato da un percorso obbligato per la risalita ma incredibilmente spettacolare nella discesa. Applicai con cura le pelli di foca alla base dei miei sci e lanciai uno sguardo al cielo. La brezza aveva pulito il cielo, il sole illuminava ma non scaldava l’inverno freddo, il silenzio circondava il Picco e i piccoli paesi al suo cospetto. Iniziammo la salita, un passo dopo l’altro, cercando il ritmo, trovandolo, respirando senza forzare, uniti nello sforzo e concentrati nella costanza. Incrociammo le orme di un roditore… una marmotta o un topolino catapultato per sbaglio in clima invernale. Poi una lepre. Continuavamo a salire, la giornata si rivelava splendida, il panorama alle nostre spalle si stava aprendo in un meraviglio abbraccio estremo, ad accogliere tutto ciò che potevo vedere e respirare, la montagna, più su il crinale, e poi il cielo, le piccole nuvole, gli uccelli liberi, come noi, di volteggiare fra i colori dell’altitudine.
     Come al solito Miki arrivò prima di me, allargò le braccia ed esplose in un lungo respiro per assaporare tutta la gioia di essere lassù, nel cielo sopra le nuvole, con solo una direzione da prendere, la migliore. Lo raggiunsi e i nostri sguardi si incrociarono di soddisfazione.
     «Non é impossibile come risalita.» disse.
     «Vuoi ripeterla?»
     «Per adesso godiamoci il momento magico. Togli le pelli che io mi cambio, ho sudato troppo.»
     Obbedii.
     «Pensavo di cominciare la discesa un poco più a ovest, per poi tagliare sotto quel costone di roccia e poi lanciarci nel canalone che dovrebbe riportarci alla macchina. A occhio e croce ci vorrà una mezz’oretta per fare il tutto. Senza fretta ovviamente. Pensi di riuscirci?»
     «Certamente. Ma poi ti scordi di risalire… arriveremmo giù con il buio.»
     «Già, brutta sensazione. Il programma ti va?»
     «Approvo.» avevo finito con gli sci «Vai che ti seguo.»
     Partimmo. Con la coda dell’occhio vidi le nubi furibonde che stavano arrivando oltre la cima del picco, oltre il crinale, dove il cielo torna cielo e la natura non può essere calpestata dall’uomo. Miki azzardò la prima diagonale e io lo seguii un po’ più da lontano.
     Anche il vento si stava alzando, si insinuava fra il berretto e il cappuccio rimbombando, ululando e gonfiandosi come se covasse qualcosa.
     Mi accorsi di tutto in un minuscolo, delirante istante. Il vecchio aveva parlato, forse maledetto la nostra discesa. Gufato si dice in città. Sui monti si dice segnato. Il vecchio ci aveva segnato, aveva infangato la nostra avventura di un giorno evocando l’ululato della montagna, e l’ululato della montagna aveva risposto. Ora che avevo visto avevo capito. Il Picco non vuole che qualcuno salga su di lui dopo che é nevicato e ventato aveva detto. Sì il vento che aveva modellato la neve, lì accumulandola, laggiù spazzandola… Attraverso quelle grotte e quei budelli che nemmeno le guide conoscevano il vento aveva giocato con i cristalli, accoppiandoli, ammassandoli, increspandoli fino al delirio. L’Onnipotente fissava il Picco, ma ci giocava anche, strutturandolo e glorificandolo in nome della fantasia. E la natura accondiscendeva. Il vento era maestoso ma infingardo, sottile, tagliente; artigliava la neve, la scavava, la svuotava dell’anima, la lasciava lasciva ad invogliare, meretrice, sparuti visitatori in cerca di piacere per poi scaraventare sul mondo la sua piaga pestilenziale.
     Alla seconda diagonale.
     L’ululato della montagna.
     La neve era splendida, invogliante, entusiasmante. Ma era ventata, troppo ventata, vuota sotto la crosta dura, sparpagliata di sacche d’aria che al nostro passaggio si manifestavano. E la neve cominciò a soffiare, a ululare, a muoversi come su un cuscinetto che la trasportasse ovunque.
     Vuuuuu… Vuuuuu
     Era quello l’ululato, il rumore della neve che cominciava a muoversi, a creparsi, a vagire nel pianto della nascita. Dalla mia posizione la neve ancora non si era mossa, ma dove si trovava Miki… oddio… La neve ululava per lui, io la vedevo muoversi, lui la sentiva gemere, gridare, straziare… Quel rumore non me lo scorderò mai… mai finché vivrò e se sopravvivrò… La montagna sembrava animata, dotata di volontà… Ma era Miki che si tirava dietro l’ira del vento, la rabbia della neve… Lo vidi aumentare la velocità nel tentativo vano di evitare la slavina che si era staccata e che rischiava di travolgerlo…
     Sopra di me l’ululato continuava a soffiare mentre vedevo la neve gonfiarsi e riassestarsi, scivolare come un’onda malvagia, brontolando e acquietandosi solo a tratti. Il vento si alzò impetuoso, nubi oscure celarono il cielo dietro ad una cortina cenere… lo stesso vento che aveva riportato la neve per poi scavarla… lo stesso vento che ululava come la montagna…

Articolo estratto da un giornale locale

Dramma sulla parete nord del Picco dove una coppia di scialpinisti si era avventurata in una escursione. M. L. di 31 anni é morto travolto da una slavina staccatasi proprio dopo il suo passaggio durante la discesa con gli sci. La neve ventata é risultata fragile al passaggio degli…
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