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		 La 
		neve, quest’anno, ha regalato delle soddisfazioni. Enormi soddisfazioni. Una gran quantità di polvere bianca ha ricoperto l’appennino, imbiancato 
		strade, regalato candore ad alberi e prati. Interi boschi incanutiti 
		come i capelli di un vecchio saggio, rocce ed avvallamenti rigonfi come 
		il seno di una donna gravida, linee e forme disegnate tra fiumi e 
		ruscelli.
 E silenzio.
 Tanto silenzio.
 Fin troppo.
 Perché a differenza degli altri anni, chi arrivava a Febbio, stavolta 
		non poteva trovare altro che un malinconico e silenzioso abbandono, 
		rotto soltanto dal rumore del vento. Qualcuno obbietterà che questa cosa 
		non è del tutto negativa, e che la montagna sia tornata ad una 
		dimensione più “vera”, più naturale.
 Ed è vero, ma non mi piace. Perché con tutti i suoi difetti, una buona 
		parte della gente che scrive qui, ha amato Febbio e i suoi impianti. Chi 
		non sognerebbe di trovarsi di nuovo sulla Duemila, col vento che sempre 
		sferzava il viso di chi saliva sulla seggiovia, una volta passata quota 
		2000 metri? Chi non vorrebbe vedere ancora una fila brulicante davanti 
		alla Resca, o alla nuova Tresca? Chi non vorrebbe sentire ancora il 
		rumore delle seggiovie aperte, e del gatto col verricello che batte i 
		muri della Duemila? Beh, io si, e credo che tanti, oltre a me, 
		vorrebbero ancora veder vivere Febbio, così come era un tempo. Ragione 
		di più osservando tutta questa neve…
 Ora invece è tutto addormentato…
 
  Restano, 
		per fortuna, persone che ancora fanno sognare la montagna. Ci sono 
		ancora tracce che solcano le piste, e che si avventurano fin sul Cusna. Romanticamente, un giorno guardavo dall’alto il viso del gigante 
		addormentato. Qualcuno era sceso dal Cusna, segnando cicatrici sul viso 
		del gigante, che assomigliavano più a lacrime.
 E non ho capito se lui piangesse la situazione di Febbio, o che fossero 
		lacrime commosse, nel vedere che, nonostante tutto, la gente lo ama 
		ancora.
 
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