Mancavano soltanto un paio d'esami e
    finalmente Antonio avrebbe finito l'università. Il suo impegno era sempre stato discreto,
    anche se non eccezionale, ma decise che la sua tesi doveva essere il massimo, qualcosa di
    totalmente diverso da ogni altra presentata nella sua facoltà di storia ed umanistica. 
    Dopo vari progetti, concordò con un
    suo docente lo studio sull'antico regno di Villa Majolica: nel paese vivevano ancora
    persone che conobbero il regno, ed era ancora possibile trovare documenti e testimonianze.
    Nessuno aveva mai scritto di quel luogo e le fonti cui attingere erano molte. Ma non era
    ancora soddisfatto: voleva una leggenda, un fatto, una storia che potesse rendere la sua
    relazione speciale, memorabile.  
    Perciò, dopo mesi di lavoro si decise
    a parlare con le persone di Villa Majolica, lasciando perdere i documenti ufficiali. Si
    diresse verso il bar del piccolo paese, pensando che avrebbe sicuramente trovato qualche
    vecchietto disposto, magari con l'aiuto di un paio di bicchieri, a raccontare qualche
    bella storia del regno. Si presentò ad un gruppo di anziani e descrisse le sue
    intenzioni. "Se vuoi strane storie devi chiedere a Giuseppe. Quel vecchino seduto
    giù in fondo
". Stava, infatti, in un angolo buio del bar un vecchietto
    minuscolo e curvo, intento alla lettura di un giornale sportivo: "
beve sempre
    volentieri un bicchiere di toscano!" lo consigliarono. Così si sedette vicino a lui,
    ordinandogli ciò che più gradiva. 
    "Signor Giuseppe?" esordì.
    Il viso del vecchio s'alzò, scrutando il giovane interlocutore. 
    "Si, chi lo vuole sapere?"
    rispose, non si capiva se fosse infastidito o falsamente scontroso. 
    "Mi chiamo Antonio, sono uno
    studente
" appena si mise a parlare di leggende, gli occhi grigi dell'anziano
    signore s'illuminarono. Parlarono a lungo di narrazioni che Antonio aveva già sentito, ma
    quando pensava che ormai non avrebbe ascoltato niente di nuovo, Giuseppe lo stupì. 
    "C'è una storia che ormai sono
    l'unico a conoscere, e in cui nessuno ha mai creduto. Non la racconterò qui dentro, ora
    dovrai seguirmi." 
    Così detto, s'alzò prima che Antonio
    potesse rispondere e s'incamminò su di un sentiero. Aveva almeno ottant'anni quell'uomo,
    ma sembrava arrampicarsi sul camminamento come uno stambecco sui dirupi delle montagne. 
    Dopo circa mezz'ora di cammino,
    giunsero in un luogo dove il bosco si apriva e lasciava spazio ad una visione stupenda e
    spaventosa: una piccola valle a forma di ferro di cavallo con al centro una specie di
    scoglio, un torrione naturale enorme ed imponente. Sulla sommità una spianata infinita, a
    detta di Giuseppe. 
    "Vedi quei ruderi lassù?"
    si potevano distinguere, infatti, dei resti di abitazioni: "Quella è
    Roccasasso". Giuseppe continuò il suo cammino verso una strada che aggirava
    l'ostacolo. "Inizierò qui a parlarti, lo farò in prima persona: ti sembrerà più
    reale, e a me verrà molto meglio
" 
      
    Era finita
 dopo l'ultimo
    sanguinoso scontro, le parti concordarono un'intesa di pace. 
    Io ero rimasto lì, più morto che
    vivo, stanco, dolorante. L'acre odore del sangue versato stava nell'aria, coprendo il buon
    odore della terra: neppure il mio naso schiacciato al suolo riusciva a sentire l'odore
    dell'erba, lo strato di terrore poteva coprire anche i pensieri. Tra l'incredibile distesa
    di corpi inerti, il mio era finito sotto quello di un tamburino, colpito come me dalla
    pioggia di frecce scagliate dal nemico, moribondo: "
voglio tornare a
    casa
" ripeteva incessante, con un filo di voce. 
    Stavo per morire, ne ero sicuro, non
    c'era parte del mio corpo dove non sentissi dolore
 il tamburino tacque. 
    "Selmo!" urlarono da qualche
    parte. "Selmo da Roccasasso!" 
    'Sono io Selmo da Roccasasso
'
    pensai. Con la forza della disperazione, riuscii a spostare il tamburino ed alzare un
    braccio. Mi avevano trovato! Ero salvo, ora dovevo sopportare solamente il tremendo
    viaggio sulla barella di lamiera, prova terrificante per ogni corpo ferito. Sopravvissi
    anche a quello, ma svenni, sfinito. 
    Erano passati due giorni quando mi
    svegliai: i dolori erano passati, permaneva solamente un leggero male al petto, ma una
    nuova forza fisica mi inebriava e non c'era più nessuna paura, non più ora. 
    "Ben sveglio, vecchio Selmo, hai
    passeggiato al fianco della morte! Ma te la sei cavata: l'erba cattiva non muore
    mai!" era Pablo, l'amico che mi aveva cercato e trovato. 
    "Fortunatamente," risposi,
    "dove siamo?" 
    "Su di un carro, tra poco
    arriveremo a Villa Majolica: è finita, la guerra è finita! Ti ho cercato dopo l'ultima
    battaglia e tu hai risposto proprio mentre stavamo per rinunciare a trovarti vivo." 
    "Tu stai bene?" chiesi,
    prima di rendermi conto che gli mancava un braccio. "Ehm
 scusa, ritiro
    tutto
" rise, non so se con spirito o per un attacco isterico. 
    "Non ti preoccupare
    ascoltami bene ora: pare che al tuo paese ci sia stata una rappresaglia, ma nessuno ha
    saputo dirmi di più
" 
    "Speriamo bene
" dissi
    pensieroso. Io lo sapevo già
 ma come facevo a saperlo? 
    "Spero che sia un buon ritorno a
    casa, Selmo." 
    "Anche il tuo, grazie di
    tutto!" 
    In quel momento il carro s'era
    fermato, una grande confusione ci avvertì che eravamo arrivati a casa! 
    Smontammo e subito fummo accerchiati
    dalla gente di Villa Majolica. Per lo più erano donne in cerca dei propri mariti,
    fidanzati, padri, amici, dopo otto anni di inutile distanza
 ma non tutte sarebbero
    state soddisfatte. Mi trovai dentro un marasma di eccitazione e fretta, visi sconosciuti
    mi scrutavano nella speranza di potermi riconoscere. Vidi Pablo abbracciato ad una ragazza
    bruna, il suo viso in lacrime e la sua bocca tirata in un sorriso felice, incurante del
    fatto che a lui mancasse un braccio. Una voce femminile chiamava un certo
    Cyril, che
    ancora non rispondeva. Qualcuno mi afferrò violentemente da dietro, girandomi. Era una
    ragazza bionda che mi fissava: non conoscendomi si chinò piangendo e pronunciando frasi
    incomprensibili. Intanto Cyril era saltato fuori con le stampelle, e la madre che l'aveva
    chiamato fino ad ora gli si buttò contro, facendolo cadere. Lentamente, vicino alla
    delusa giovane che ancora urlava e piangeva inginocchiata al mio fianco, si unirono altre
    donne donando e cercando consolazione a vicenda. Pablo mi chiamò. 
    "Questa è la mia sposa
 Ho
    chiesto a mia madre, ma neppure loro sanno nulla di Roccasasso, nessuno è più salito
    lassù dal giorno della rappresaglia
" 
    Il lamento della giovane divenne
    straziante quando riconobbe (nessuno capì come) il corpo del tenente
    Alestat: dentro la
    cassa non rimaneva altro che il busto e la testa (staccata), il resto
 
    "
probabilmente mangiato da
    qualche volpe, ah ah!" 
    "Taci Alpen, non vedi che c'è
    sua moglie!" 
    "Cosa te ne frega, Selmo! Lui è
    morto, io no!" improvvisamente l'urlo della donna si spense, svenuta sotto una tale
    carica di dolore. "Ho capito, toccherà a me dare una svegliata alla mogliettina del
    tenente!" 
    "Taci idiota! E abbi un po' di
    rispetto!" dissi. Alpen, in fondo, non era cattivo
 era decisamente
    stronzo! 
    "E tu, bastardo di un Selmo, come
    hai fatto a salvarti?" 
    "Tutta fortuna Alpen
"
    che male al petto, però
 
    "Chiamalo culo!" disse
    ridendo. "Vieni a dormire da me? E' tardi, ormai, e la strada è lunga." mi
    propose. 
    "No grazie, saresti capace di
    derubarmi nella notte!" risposi. "Addio Alpen." 
    "Crepa!" 
    Mi misi in viaggio verso casa. Era
    ancora giorno, ma la frescura della sera si stava già insinuando dentro la mia armatura,
    così pesante, ad ogni passo avevo la compagnia del fodero della spada che picchiava
    contro i gambaletti di ferro.  
    Ed intanto pensavo. Erano passati otto
    anni (che male al petto) e non avevo più rivisto nessuno del mio paese
 oltretutto
    ero l'unico di Roccasasso ad essere partito. Arrivato al punto dove il bosco si riapre,
    vidi le case del mio paese e mi tranquillizzai un po', vedendole ancora integre: 'Come
    troverò mia moglie? Ed i miei figli
 mio Dio, avevano solo due e quattro anni quando
    partii
 mio Dio
' 
    Ero convinto che non avrei trovato
    nessuno ad aspettarmi, ed infatti il paese era quasi deserto. 
    "Selmo!" era lei, era la sua
    voce. Mi girai ed apparve Nora
 i suoi capelli
 sono corti, ora, il suo
    sorriso
 
    "Nora
" rimanemmo a
    fissarci per qualche secondo, poi ci scagliammo l'uno contro l'altra abbracciandoci. 
    
come fu debole l'abbraccio, in
    quell'incontro
 
    "Nora, non sai quanto ti ho
    pensata, non sai quanto mi sei mancata!" 
    "Anche tu, Selmo
" non
    sorrideva, non piangeva, sembrava non provare alcuna emozione. Lentamente, tutti i paesani
    si strinsero attorno a me, riconobbi i miei figli solo perché si erano sistemati dietro a
    Nora. Tutti avevano un'espressione indifferente. Che male al petto
 
    "Cosa succede Nora. Tu mi
    abbracci come se non avessi più forza nelle braccia, i miei figli neppure mi salutano e
    tutti hanno un'espressione spenta
 spettrale, direi!" 
    "E' tutto normale," disse.
    Sembrava stanca e rassegnata: "tutto normale: noi siamo morti
" 
    "Dai, non dire stupidaggini! Che
    scherzo è questo? Come potete essere morti se vi posso toccare!" diedi una pacca
    sulla spalla di un mio vecchio amico. Esso cadde senza mutare la sua espressione, sembrava
    una statua di gesso. Mi accorsi che tutti erano diventati statue
 solo Nora poteva
    ancora muoversi. 
    "Ogni sera ci riunivamo in casa
    nostra, pregavamo per te, per vederti tornare sano e salvo. Una sera, però, avvenne un
    fatto incredibile: sul soffitto si materializzò una visione, un armigero ti sorprendeva e
    ti infilzava
 eravamo sconvolti, pregammo con ancora più forza, promettendo di
    donare il nostro cuore per salvarti. Subito dopo, un forte dolore al petto ci segnalò che
    la nostra richiesta era stata esaudita. Inesorabilmente tutti smettemmo di respirare,
    senza morire, aspettando il tuo ritorno: se ora tu sei vivo è perché noi siamo
    morti
 Quando poi arrivarono i nemici per rappresaglia, trovarono solamente un paese
    abbandonato e distrussero ogni casa
" 
    Mi inginocchiai, incredulo e
    disperato. Abbracciai le gambe di Nora ed appoggiai la testa sulla sua pancia. 
    "Ho paura che abbiate donato il
    vostro cuore per nulla, amici
" presi le mani di Nora e le baciai. "Una
    notte, mentre ero di guardia, ebbi anch'io una visione: cavalli e cavalieri entrare a
    Roccasasso per uccidere tutti. Così pregai e donai il mio cuore, sperando di potervi
    rivedere sani e salvi
 un forte dolore al petto non fu sufficiente a farmi capire che
    la mia inutile richiesta era stata accettata
 dunque anch'io sono morto!" 
    Lei mi abbracciò, e questa volta
    riuscì a stringermi. 
    "Forse è meglio così, forse
    ora, una volta per tutte, saremo di nuovo uniti
" 
    Due visioni, due gesti di estremo
    amore, stavolta fecero ciò che neppure la guerra era riuscita a fare. 
      
    "
lentamente, Nora, Selmo e
    tutto il paese scomparvero sotto gli occhi di un giovane pastorello, sconvolto per quella
    che credette per sempre una semplice visione
 Allora, giovane amico, ti è piaciuta
    questa storia?" 
    "Si, anche se mi sembra proprio
    incredibile
" 
    "E' vero, è incredibile, anche
    quel povero pastore lo pensava, ma sono certo che non ha ancora dimenticato ciò che ha
    visto." 
    "Non mi starà dicendo che fu lei
    a vedere la visione!" 
    "Ma non diciamo baggianate!"
    dalla cima del colle c'era uno spettacolo stupendo. "Ti pare che io possa essere un
    pastore?"  
    "Beh
 non saprei
"
    ma il vecchio si stava incamminando dentro i ruderi di Roccasasso. 
    "Ricordati che devi seguire il sentiero." mi
    disse, mentre il suo corpo, piano piano, svaniva sotto le luci della sera.   
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